Storia del campionato italiano e del super 10

La Storia del Rugby, le sue Tradizioni, le Leggende, attraverso documenti, detti, racconti, aforismi.

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RE: foto rugby italiano anni 60

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Il merito più grande di Battaglini è quello di creare un gruppo coeso, che non esaurisce i propri rapporti all'interno del rettangolo di gioco o dello spogliatoio, ma interagisce in tutte le situazioni che permettono forme di socializzazione. I giocatori, come testimoniano i protagonisti di quel periodo, vanno in trattoria, al cinema e anche al casino (la legge Merlin interromperà, ahiloro, questa consuetudine nel 1958...). Le vittorie che arrivano nelle prime tre giornate danno inoltre alla squadra convinzione nei propri mezzi e permettono a Treviso di competere con Rovigo. In pratica è un testa a testa; Parma, la Rugby Roma e soprattutto l'Amatori Milano (che rischia la retrocessione) non sono competitive per il successo finale. Rovigo cerca, sotto la guida tecnica di Aldo Cecchetto "Topa" Milani, di sviluppare un gioco capace di coinvolgere maggiormente i tre quarti, contando sempre sul talento e l'esperienza del gruppo storico. I due scontri diretti si risolvono con un con vittoria rodigina 3-0 a Treviso all'andata e rivincita trevisana per 8-0 al ritorno. Le due venete chiudono il campionato a pari punti, 28, con la Rugby Milano terza a 19; si rende necessario lo spareggio, da giocarsi allo stadio Appiani di Padova il 20 giugno.
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RE: foto rugby italiano anni 60

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Quella domenica va in scena l'ultimo atto di una sorta di psicodramma di provincia. A Rovigo il passaggio di Battaglini ai cugini della Marca è stato accettato a malincuore e per Maci le partite contro la sua Rovigo sono tormenti, trovandosi di fronte amici o addirittura parenti, comunque ragazzi con i quali aveva per anni condiviso ore di allenamenti, di partite e di vita. Lo spareggio si gioca davanti a cinquemila spettatori, in un pomeriggio caldissimo; il match è, come logica impone, equilibratissimo. Meta di Gastone Cecchetto per Rovigo, drop di Artura Zucchello per Treviso, 3-3 e supplementari, due tempi da 20', durante i quali il risultato non si sblocca. Si va ad oltranza, con vittoria assegnata alla squadra che segna per prima. Battaglini ha un'occasione colossale, ma sbaglia un facile piazzato. Pochi minuti dopo, al 130' (!) punizione per Rovigo, che Milto Baratella manda in mezzo ai pali. Scudetto ai rodigini, festa scatenata in città e il rientro a casa più mesto della sua carriera per Maci.
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In coda la situazione rimane incerta fino all'ultimo minuto dell'ultima giornata e la lotta per non retrocedere vede coinvolte Trieste, L'Aquila, Brescia e due nobili molto decadute, abituate fino a pochi anni prima a vincere scudetti: Rugby Roma ed Amatori Milano. La crisi di queste pluriscudettate, sancita in modo inequivocabile dai punti di penalizzazione comminati alla Rugby Roma per avere rinunciato a giocare le partite di Trieste e Padova, chiarisce che il baricentro del rugby italiano è ormai spostato sulle realtà provinciali. Una di queste però, L'Aquila, deve penare oltre misura ed attendere lo spareggio con Trieste, vinto a tavolino 6-0 per tristissima rinuncia dei giuliani, per salvarsi. Di Trieste e della breve, troppo breve, parabola del rugby in quella città avevamo già parlato. Una nota ulteriore si rende però necessaria, a proposito di quella fase storica e di quell'ultimo campionato in massima divisione, configuratosi fin dalla prima giornata (sconfitta 0-24 con la Rugby Roma) come un calvario. Il 5 ed il 6 novembre la città giuliana, che da più di un decennio sta vivendo una drammatica, talvolta tragica, doppia occupazione e che solo il 5 ottobre del 1954 tornerà italiana, viene scossa da manifestazioni di piazza a favore del ricongiungimento di Trieste all'Italia ed iniziate pacificamente, che il comando anglo-americano, con l'improvvida collaborazione della polizia civile, formata da militari triestini, decide di soffocare sparando sulla folla, provocando sei morti e conseguenti reazioni violentissime (quei giorni sono stati documentati in più volumi da un bravo fotografo triestino, Ugo Borsatti). Quel sangue sconvolge tutta l'Italia e provoca ulteriori lacerazioni in una città provata da tutta una serie di miserie e tragedie legate alla seconda guerra mondiale. Il rugby non è immune dal clima di tensione, anzi, una settimana dopo quegli episodi all'interno della squadra si consuma un evento che mette a fuoco perfettamente lo stato emotivo del momento. In squadra giocano alcuni militi della polizia civile; gli altri componenti la rosa della Rugby Trieste decidono di non volere più scendere in campo con loro. Soltanto dopo aver appurato che i poliziotti rugbisti non erano in servizio il 5 ed il 6 novembre, i dirigenti riescono a ricomporre la frattura.
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RE: foto rugby italiano anni 60

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Il 1954 non è solo l'anno della risoluzione della questione triestina; il tre gennaio inizia il servizio televisivo pubblico, il 28 dello stesso mese "scoppia", dopo un articolo di Silvano Muto su "Attualità", il caso Montesi, un'autentica bufera che si abbatterà anche sul governo, costringendo alle dimissioni il ministro Attilio Piccioni. Con la morte di Alcide De Gasperi il 19 agosto e la stesura del "Piano Vanoni" (che elabora una programmazione economica che punta su strumenti pubblici d'intervento tramite Iri, Eni ed altri enti) si chiudono un'era ed un progetto di sviluppo (in sostanza quello liberista di Einaudi). La nomina di Mario Scelba a capo del governo sposta l'asse democristiano molto più a destra, esarcebando un così forte anticomunismo che si arriva ad impedire, l'otto maggio, ai giornalisti di organi di stampa comunisti di accedere alle sedi della presidenza dl consiglio... Il paese, malgrado i segni di ripresa, è ancora povero, con aree geografiche dove si avverte ancora forte depressione. Il problema assume caratteri quasi endemici e spinge il governo ad istituire una commissione d'inchiesta sulla miseria. Il consumo annuale pro capite di carne bovina, stando ai dati Istat, a metà degli anni cinquanta è di circa nove chilogrammi, molto più alto dei quattro/cinque chili del 1946, ma sempre tra i più bassi d'Europa e comunque in linea con quello dell'Italia dell'anteguerra. Il reddito medio annuale è di circa trecentomila lire, ma esistono province del meridione dove questo valore scende vertiginosamente. Solo sette case su cento dispongono, contemporaneamente, di elettricità, acqua, bagno e servizi interni. Il problema dell'analfabetismo di ritorno e quello del lavoro minorile, con appendici di tremendo sfruttamento, si connettono a quello dell'obbligo scolastico, che solo nel 1963 verrà esteso alla terza media. Sono solo alcuni dei molti dati disponibili che si possono utilizzare per conoscere le condizioni di un paese ancora ferito. In questo quadro si va ad inserire il "caso Battaglini", che all'inizio del 1954 scuote il piccolo, ma litigioso mondo del rugby italiano.
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RE: foto rugby italiano anni 60

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Battaglini nell'estate del 1954 torna a Rovigo, scatenando la reazione di Treviso, che nega il nullaosta e denuncia alla federazione la partecipazione, irregolare, di Maci a partite amichevoli disputate con la maglia rossoblu. Le indagini della federazione portano però a sviluppi imprevisti, avendo accertato l'esistenza di un contratto che impegnava la società trevigiana a corrispondere settantamila lire al mese a Battaglini. Si tratta di stipendio e non di rimborso, essendo Maci sceso in campo più volte da giocatore e non solo da allenatore. Su di lui e su Treviso si abbattono sanzioni pesantissime, che verranno cancellate anche grazie ad un articolo del famoso giornalista Nino Nutrizio su L'Europeo, che trasforma una vicenda del provinciale mondo del rugby in un caso nazionale, capace di svelare le ipocrisie e le miserie, materiali e morali, non solo di un ambiente sportivo, ma di una nazione intera.
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RE: foto rugby italiano anni 60

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Tutta la querelle incide però sulla serenità delle due società venete e sui giocatori, e non è un caso che il campionato 1954/55 se lo aggiudichi il forte Parma, che ha sì perso il grande Lanfranchi, emigrato in Francia, ma ha mantenuto tutti gli altri giocatori, tra i quali Aiolfi, Percudani, Pisaneschi, che formano il nucleo storico di una squadra da anni ai vertici del rugby italiano e sempre capace di proporre un gioco manovrato e aperto. Rovigo chiude seconda a due punti, mentre Treviso incappa in un'annataccia e termina terz'ultima, col fiato grosso. Dietro tiene solo una Rugby Roma sempre più derelitta ed il retrocesso Brescia. Nelle zone alte si attestano il Petrarca, terzo e L'Aquila, subito dietro, che perde una sola partita in tutto il campionato di quelle giocate al Fattori. Da segnalare il buon campionato della matricola Rho, una realtà importante negli anni a venire per il rugby lombardo ed italiano, che chiude con tranquillità sopra la Garbuio Treviso.
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RE: foto rugby italiano anni 60

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A dieci anni dalla fine della seconda guerra mondiale è necessario analizzare le condizioni del rugby italiano, considerando anche i contatti internazionali e lo sviluppo del gioco nelle nazioni guida. Come già scritto il rugby in Italia in questo periodo vive molto di campionato e poco, pochissimo, di nazionale. L'istituzione della Coppa Europa nel 1954 e l'inclusione del rugby nel programma dei Giochi del Mediterraneo del 1955 sembrano poter garantire una continuità di confronti a livello internazionale che purtroppo si rivelerà effimera; dopo i canonici due test match del 1954 (contro Spagna e Francia) validi per la coppa Europa, nel 1955 gli azzurri riescono a scendere in campo per partite ufficiali ben cinque volte, vincendo contro Germania, Spagna e Cecoslovacchia, perdendo contro la Francia e la Francia B, 8-16, la finale dei Giochi del Mediterraneo. Ma accantonato l'esperimento di un campionato continentale e dimostratasi non soddisfacente l'esperienza dei Giochi del Mediterraneo (dove il rugby riapparirà solo molti anni dopo), nel 1956 le partite della nazionale sono tre (consuete vittorie su Germania e Cecoslovacchia ed abituale sconfitta contro la Francia), nel 1957 due (vittoria sulla Germania e sconfitta nettissima, 6-38, con la Francia), di nuovo due nel 1958 (vittoria di misura 6-3 sull'emergente Romania e sconfitta 3-11 con i cugini), una sola (0-22 contro i francesi) nel 1959. La situazione non migliorerà nemmeno nei primi anni del decennio successivo, come vedremo. Per garantirsi opportunità di confronti con scuole rugbisticamente più evolute della nostra (sempre che ne esista una nostra, di scuola...) si è già scritto del ricorso alle selezioni e al ruolo avuto sul piccolo mondo ovale italiano, scosso dall'arrivo delle rappresentative inglesi del 1953, abbacinato dalla qualità di gioco espressa da quei ragazzi, dal ritmo e dalla preparazione tecnica e atletica di quegli avversari.
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I confronti con le squadre inglesi e le irrinunciabili legnate che la Francia ci rifila ogni anno con la prima o la seconda squadra confermano che il resto del mondo si muove ad un'altra velocità. Le grandi del rugby, siano esse appartenenti all'emisfero nord o a quello sud, riprendono a pieno regime nel 1948, dopo che nel 1947 è risorto il Cinque Nazioni, vinto a pari merito da Galles ed Inghilterra. Nel 1948 l'Irlanda realizza il Grande Slam e sarà per qualche stagione, guidata dal grande mediano di apertura Jack Kyle e sorretta da un pack granitico e feroce, la più continua nei risultati tra le europee. Sempre in quell'anno si assiste al primo grande tour del dopoguerra, quello dell'Australia nel vecchio continente, chiuso con le vittorie su Irlanda ed Inghilterra e le sconfitte contro le altre protagoniste del Cinque Nazioni. Nel 1949 è la Nuova Zelanda a prendere la nave, per un 'esperienza in Africa tra le più deprimenti della storia degli All Blacks, sconfitti in tre test su quattro dagli Springboks e pure umiliati forte Rhodesia, all'epoca ancora provincia sudafricana (e poi stato indipendente dal 1965), che a Bulawayo (Hartsfield) il 27 luglio s'impone per 10-8... Nel 1950 i Lions vanno in tour in Australia e Nuova Zelanda, mentre per la prima volta i Barbarians accolgono un giocatore non delle home nations, il francese Pomathios, segno inequivocabile dei cambiamenti in atto. Nel 1951 il Sudafrica viene a predicare rugby nell'emisfero nord, stupendo gli europei per la competenza e la continuità del sostegno, garantito anche dagli uomini di mischia e per la fisicità che consente di rompere spesso il placcaggio e di guadagnare la linea del vantaggio. Per i Bocks è grande slam, con vittorie anche debordanti, come quelle ottenute contro la Francia, 25-3, e la povera Scozia, calpestata con un eloquente 44-0. Gli scambi si fanno sempre più fitti, le occasioni per confontarsi ed eventualmente imparare sempre più frequenti. Anche altre nazioni dell'emisfero sud, oltre le tre storiche, mostrano inequivocabili segnali di crescita. Le partite tra Figi, Tonga e Samoa si giocano con cadenza annuale e proprio i figiani testimoniano enormi progressi andano a vincere nel 1952 e nel 1954 in trasferta contro i Wallabies. Il movimento argentino cresce e si consolida, anche grazie a tournée in Inghilterra e a due test, persi, contro la Francia, ospitata in Sud America nel 1954. Sempre in quell'anno l'International Board si riunisce per rivedere il regolamento, dopo che già nel 1951 si era stabilito di attribuire al drop valore di tre punti e non più di quattro. E l'Italia?
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RE: foto rugby italiano anni 60

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L'Italia, seduta sul molo, osserva le navi passare. Sul "fronte interno", a metà degli anni cinquanta si delineano con nitore quelli che ormai si possono definire i paradigmi di riconoscimento, i tratti identificativi che perdureranno fino all'avvento del professionismo. Il rugby italiano è, per numero di praticanti, seguito di pubblico, interesse dei media, da annoverare tra gli sport "minori", avendo l'accortezza di utilizzare l'odioso aggettivo con tutte le cautele del caso e restringendone il più possibile l'area semantica... Discipline che nell'anteguerra muovevano passi incerti in regime di semi-clandestinità, a dieci anni anni dalla fine della seconda guerra mondiale si stanno affermando con prepotenza, destinate a crescere, sotto tutti i profili, anche nei decenni successivi. E' il caso del basket e del volley, che si diffondono in ogni area del paese, hanno successo in provincia come nelle grandi città, sono praticati da maschi e femmine, sono discipline incluse nel programma olimpico, con tutte le ricadute positive che questo comporta, non devono scontare la pena di essere state, come invece è accaduto al rugby, discipline predilette dal regime fascista. Ma anche altri sport di squadra meno praticati, o meglio praticati in determinate e ben localizzabili aree geografiche (pur annotando rimarchevoli eccezioni), quali l'hockey nelle sue varie declinazioni o la pallanuoto (che sulla costa ligure, specie della provincia di Genova, o in alcuni centri campani è un'autentica religione) o la pallamano, entrano in legittima concorrenza col rugby, sottraendo praticanti e tifosi ad uno sport spesso anche gestito con relativa (o scarsissima) lungimiranza dai suoi dirigenti. Il progressivo indebolimento delle squadre dei grandi centri urbani (anche se ci saranno, aperiodicamente, bagliori provenienti da Napoli, Genova, Roma, Milano, sempre però per lassi di tempo ridotti e mai con la necessaria continuità) se da un lato contribuisce a favorire le espressioni rugbistiche di alcuni piccoli centri urbani di provincia, così fondamentali per garantire al rugby italiano forme di identità riconoscibili e radicate, dall'altro si rivela un freno ad una diffusione che peraltro non tocca minimamente (ed il discorso è tristemente valido ancora oggi...) aree anche molto estese, specie del meridione, del cui coinvolgimento avrebbe dovuto e potuto beneficiare tutto il movimento.
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RE: foto rugby italiano anni 60

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Qualcosa sembrà però cambiare nel 1955. I contatti avviati da Galletto garantiscono i primi effetti e dopo "le perlustrazioni" del nostro rugby in terra italiana compiute dalla selezione dell'University Athletic Union e dalle London Counties, arriva l'atteso invito a recarsi a Londra dove il 16 aprile è previsto un match contro le London Counties. A rendere memorabile l'evento è la sede della partita: Twickenham, aperto per la prima volta ad una squadra italiana. Questa opportunità arriva grazie all'attenzione che da qualche tempo i dirigenti della Union inglese riservano alla federazione italiana. Spaventati dall'intraprendenza dei compatrioti dirigenti del Rugby Union e dalle possibili conseguenze che lo scisma tredicista, del quale abbiamo scritto pagine addietro, andrebbe a determinare nell'area meridionale del continente, per qualche anno ci garantiranno opportunità di scambi ed incontri, accettando di ospitare la nostra nazionale in tournée che impegneranno gli azzurri contro selezioni e squadre di club. Purtroppo questo fuoco si spegnerà presto, perché il circoscriversi e poi l'estinguersi dell'espressione tredicista in Italia allontaneranno i conservatori della Union inglese dal nostro mondo. Ma nel 1955 l'eventualità di varcare i cancelli del tempio di Twickenham viene comprensibilmente valutata come l'inizio di una nuova era per il rugby italiano; soltanto qualche anno più tardi capiremo che gli inviti ricevuti dai grandi per partecipare ai banchetti ci verranno inoltrati solo per raccogliere le briciole... Le partite del 1954 contro le selezioni inglesi hanno sancito la nostra arretratezza tecnica e atletica; per evitare una figuraccia nel mese di aprile del 1955, quando ci sarà da affrontare anche la Francia a Grenoble, il nuovo presidente federale, Mauro Lais, decide di affidarsi ad una soluzione che il calcio pratica da anni: la commissione tecnica, che formata da Umberto Silvestri, Buby Farinelli ed Aldo Invernici si occuperà di selezionare e preparare i giocatori. Nel calcio questa forma di gestione ha dato e darà risultati disastrosi, come dimostrano i mondiali del 1954 e quelli del 1958 (alla fase finale dei quali la nazionale non si qualifica, unica volta nella storia). Ma per il rugby, per il rugby italiano di quei giorni, quella triade funziona.
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Farinelli e Silvestri sono stati azzurri e punti di riferimento della Rugby Roma e a loro sono affidate le scelte tecniche e la gestione del gruppo. Aldo Invernici, bresciano, è un professore di educazione fisica che pur non avendo mai giocato a rugby si rivelerà uno dei personaggi fondamentali nella storia italiana di questo sport, arrivando anche alla carica, che ricoprirà dal 1978 al 1984, di presidente della federazione. Il suo contributo appare da subito fondamentale, perché per la prima volta i rugbisti italiani vengono seguiti da un preparatore atletico definibile come tale, supportato da conoscenze teoriche all'avanguardia e capace di proporre un lavoro sulle capacità condizionali che permetterà di uscire dalla tirannia dell'aerobiosi e di cominciare ad allenare con serietà anche la capacità anaerobica lattacida. Invernici sarà autore anche di testi che rimarranno come riferimenti preziosi per tutti gli allenatori che negli anni successivi cercheranno di emendarsi dalle troppo frequenti approssimazioni per troppo tempo tare del movimento rugbistico italiano. Per gli azzurri sembrano delinearsi nuove prospettive e anche se i risultati delle partite di aprile sono negativi (sconfitta 0-24 con la Francia e 11-22 contro le London Counties nel match di Twickenham) i progressi, sotto il profilo della qualità del gioco e della tenuta del ritmo di avversari di livello superiore, cominciano ad intravvedersi. La conferma arriva con i Giochi del Mediterraneo, che disputano a Barcellona e che la nazionale affronta dopo una settimana di ritiro preparazione, per l'epoca un fatto sbalorditivo. In Catalogna battiamo la Spagna 8-0 ed in finale perdiamo 8-16 contro la Francia denominata B, ma che in realtà è, a tutti gli effetti, la squadra migliore, quella del Cinque Nazioni, per intenderci, tanto da schierare giocatori leggendari come Prat e Boniface. La migliore partita di quell'anno è, per ritmo, continuità di azione, capacità di strutturare il gioco su più fasi, varietà di soluzioni, quella vinta a Roma per 17-6 l'undici dicembre contro la Cecoslovacchia. I successi del 1956 contro Germania e di nuovo Cecoslovacchia e la sconfitta contro la Francia a Padova il 2 aprile sembrano acclarare la validità del percorso intrapreso dalla commissione tecnica. In particolare il test con i cugini si presta a considerazioni positive e non deve ingannare il risultato, 3-16, troppo severo e maturato solo nei minuti finali, dopo che gli azzurri, andati in meta col milanese Cantoni, sono stati capaci di tenere inchiodata la Francia sul 3-3 fino a tredici minuti dalla fine. Ancora più soddisfacente è il bilancio del tour autunnale che porta gli italiani a giocare contro lo Swansea, il Cardiff e gli Harlequins, affrontati a Twickenham. Arrivano tre sconfitte di misura ed una, quella contro i londinesi (14-15), lascia davvero molta amarezza, ma anche orgoglio e la convinzione di essere sulla strada giusta. Ma proprio quando sembra maturo il balzo in una dimensione superiore, il rugby italiano pensa bene di rovinarsi da solo.
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Nel corso del 1956 il rugby italiano, forse per la prima volta nella sua storia, ottiene sostanziali riconoscimenti da parte dei paesi più evoluti, cominciando a configurarsi come una realtà dalle potenzialità molto promettenti. Le partite del tour autunnale in Galles ed Inghilterra, alle quali abbiamo poco sopra fatto riferimento, riscuotono un significativo ed imprevisto successo di pubblico, richiamando 15.000 spettatori a Swansea e 25.000 nella laica, alcolica e calorosa cattedrale dell'Arms' Park. Anche nell'emisfero sud si parla dei progressi registrati dagli italiani; tra la fine del 1955 e le prime due settimane del 1956 arriva infatti in tournée la forte nazionale universitaria sudafricana. Vince match non ufficiali contro Parma, Amatori Milano, L'Aquila e Cus Torino e gioca un importante test contro la nazionale universitaria italiana, il sei gennaio a Roma, allo stadio Torino (così era stato rinominato il vecchio stadio Nazionale, per onorare la memoria del Grande Torino dopo la tragedia di Superga. Sarebbe poi diventato il Flaminio. Per anni ospitò le partite casalinghe della Roma Calcio, prima che questa si trasferisse all'Olimpico). Giova ricordare che nel rugby dell'era dilettantistica (e questo quindi vale anche per periodi recenti) le rappresentative universitarie potevano avvalersi di grandissimi giocatori, spesso già punti fermi delle nazionali maggiori. L'Italia quel pomeriggio, tanto per snocciolare qualche nome importante, schiera Taveggia, Danieli, Percudani, Pescetto, Simonelli, Perrini, Fornari, che di fronte di trovano campioni quali Van Zyl, Du Toit, Du Preez... L'Italia perde 6-11, dopo essere rimasta in vantaggio fino a tre minuti dalla fine, suscitando comunque impressione molto favorevole tra i dirigenti sudafricani. Il panorama internazionale, che come abbiamo già scritto segnala fermenti e significativi ampliamenti di orizzonti, sembra allora pronto per fare spazio, e non solo occasionalmente, alla realtà italiana. I segnali più tangibili sono le offerte della federazione argentina e, soprattutto, di quella australiana, disposte ad ospitare una tournée della nazionale italiana, con tanto di test match. Il presidente della federazione australiana, Halvorsen, ufficializza l'invito il sei aprile, proponendo un tour, da vivere nel maggio del 1957 destinato a far confrontare gli azzurri con Ceylon, Western Australia, Southern Australia, Canberra, New South Wales, Queensland, oltre al test con i Wallabies, da giocare a Sydney. E' un'occasione straordinaria che potrebbe rilanciare da noi (magari grazie al diario del tour sulla Gazzetta dello Sport da assegnare a Franco Imbastaro, il più noto giornalista italiano dedito all'epoca alle faccende ovali) uno sport che non riesce, in quel periodo, ad andare oltre i cinquemila tesserati ed inserire l'Italia in pianta stabile nel circuito dei grandi eventi rugbistici internazionali. Con decisione sciagurata il presidente della Fir, Mauro Lais, rifiuta.
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RE: foto rugby italiano anni 60

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Ringraziando Grun per la disponibilità... vi rendo partecipi che su Rugby 1823, oggi, ho postato un articolo tratto da una delle innumerevoli storie raccontateci da Grun in questi mesi.

Loris Casellato il talent scout pasticcere
Duccio

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A determinare la decisione dei dirigenti della Federazione intervengono alcuni fattori che è bene considerare, perché le scelte fatte in questo periodo condizioneranno il rugby italiano per molti anni. Malgrado i parziali, ma incoraggianti progressi evidenziati nei match internazionali, tanti sono i problemi che il movimento e la sua classe dirigente devono fronteggiare e cercare di risolvere. A quelli sopra evidenziati (esiguo numero di tesserati, molte città e regioni senza squadre ed attività di base, scarso interesse degli organi d'informazione per una disciplina soppiantata da altri sport, conoscenze degli allenatori molto approssimative, contatti con le grandi potenze mondiali sempre troppo rari) se ne aggiungono altri che sembrano compromettere a titolo definitivo equilibri molto precari. Le cattive notizie arrivano dal fronte interno: nei campionati di tutti i livelli, anche nella massima serie, si succedono, con frequenza domenicale, episodi di violenza ed indisciplina spesso molto gravi e che vedono coinvolti pure giocatori di prestigio. Nel gennaio del 1956, in occasione di Petrarca - Parma, l'azzurro Danieli colpisce al volto l'arbitro Gorla. La settimana successiva Battaglini, in occasione di Parma-Rovigo, ritira la squadra dal campo per contestare le decisioni dell'arbitro Manetti. Per questi due episodi Danieli e Battaglini sono radiati (successivamente a Danieli la pena verrà "addolcita" in squalifica fino al trenta ottobre). Il cinque maggio a L'Aquila la partita tra i locali ed il Parma viene sospesa a otto minuti dalla fine sul 5-5 perché si registra un'aggressione ad un giocatore emiliano da parte di tifoso abruzzese. Segue rissa rusticana di prammatica, con tanto d'intervento della polizia per separare i giocatori delle due squadre (il giudice darà poi partita vinta a tavolino al Parma). Nella primavera di quell'anno, complice anche la partita tra Parma e Petrarca appena rammentata, scoppia una querelle, destinata a durare a lungo, tra la Federazione ed il Petrarca, figlia di tensioni più generali tra l'organismo federale ed il comitato veneto. In quegli stessi mesi il movimento tredicista sembra farsi sempre più agguerrito (come molte pagine addietro avevo scritto), con tanto di fondazione della FIAR, forte di alcune società venete uscite dalla FIR e capaci di portare nel nuovo mondo atleti come Comin e Luciano Luise, poi radiati. Alcuni giocatori di valore, tra i quali Annibaldi, Danieli e Sartorato vanno a tentare, con successo, l'avventura professionistica in Inghilterra, i primi due col Wigan, il terzo col Rochdale... La situazione è quasi fuori controllo e porta la federazione alla scelta della riforma dei campionati.
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Prima di vedere come avviene la sopra citata riforma, è necessario e doveroso scrivere del campionato 1955/56, al quale avevamo già accennato in precedenza. E' un torneo emblematico, denso di episodi decisivi per il futuro del rugby italiano. Partendo dalla coda, sancisce a titolo definitivo la crisi dei grandi centri urbani e porta a compimento il malinconico processo di sgretolamento che da qualche anno aveva proceduto ad erodere le realtà milanese e quella capitolina (con la parziale eccezione dell'A.S. Roma, quarta con ventun punti). La Rugby Roma chiude infatti ultima, con soli sette punti all'attivo e ben tredici sconfitte su diciotto partite. Poco sopra l'Amatori Milano, penultima con dieci punti e non molto avanti il Rugby Milano, appaiato a diciassette ad un deludentissimo Rovigo. Il campionato dei rodigini è un calvario annunciato già in estate da alcune defezioni importanti, quali quella di Malosti, emigrato a Tolone per trovare un lavoro migliore di quello che aveva a Lendinara, piccolo centro polesano dove aveva conosciuto la futura moglie. Malosti avrebbe poi giocato, bene, per sei anni nella sua nuova città, nella quale sarebbe rimasto fino alla morte, avvenuta nel 2006 e per un campionato a Vichy. A rendere tortuoso per i rossoblu il cammino in quella stagione avrebbero contribuito poi gli episodi d'intemperanza dei quali abbiamo prima scritto (con relativo ed inevitabile corollario di provvedimenti disciplinari) e la rinuncia ad affrontare la trasferta a L'Aquila, in quella stagione il centro più remoto da raggiungere per le squadre del nord, con ulteriore penalizzazione in classifica. Ma lo smacco più grande arriva, per i polesani, dai cugini rivali del Petrarca e della Faema Treviso.
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